Maria Ginzburg

Un progetto è dedicato alle Alpi apuane e a tutte quelle realtà paesaggistiche che per futili motivazioni legate a scopi di lucro di privati, rischiano di scomparire.

L’intento è quello di evidenziare le problematiche generate da un sistema che compromette i complessi equilibri della natura, di queste montagne vittime della produzione massificata.

La mostra evidenzia anche l’accettazione passiva da parte della comunità, di un danno permanente a questo patrimonio collettivo, che ha impiegato millenni per la sua formazione e che non sarà più possibile recuperare in futuro.

 

Il filo conduttore dell’opera è la memoria latente del carbonato di calcio, materiale che forma il marmo e si presenta come una polvere, la cui genesi risale a un ciclo vitale e una storia millenaria di trasformazione e continua modificazione strutturale, che lo porta alla creazione delle catene montuose.

Nella contemporaneità, questo materiale, ottenuto dalla trasformazione in polvere dei blocchi di marmo estratti dalla montagna, è passato recentemente da residuo di scarto a motivo di speculazione, impiegato ora per processi industriali di sbiancamento, che coinvolgono prodotti come la carta o il dentifricio.

 

Il leporello presentato all’esposizione, con la finalità di raccontare la duplicità del percorso di questo materiale, presenta due differenti versi di lettura, che permettono di leggere l’opera sia da destra verso sinistra, che viceversa. Questo per narrare da un lato i tempi lentissimi della millenaria storia evolutiva naturale del marmo, con la complessità che ne ha garantito la formazione, sia per descrivere l’operare distruttivo dell’essere umano e la rapidità con la quale i processi estrattivi intaccano in maniera irreparabile e mortifera il paesaggio.

Il contrasto visibile tra le due parti mostra le conseguenze a lungo termine dei comportamenti nocivi ed egoisti dell’uomo, offrendo spunto per una riflessione etica e di auto-responsabilizzazione sui temi dell’inquinamento, proponendo una prospettiva alternativa.

Una prospettiva in cui l’educazione alla sostenibilità ambientale, diviene nucleo centrale essenziale, per fornire coordinate che possano guidare a scelte più consapevoli nel quotidiano, attraverso la costruzione di una coscienza critica attiva e partecipe.

L’investimento culturale consente una reale emancipazione da logiche di profitto e asservimento, nelle quali dinamiche consumistiche nocive generano sprechi e uno stile di vita aggressivo nei confronti del pianeta.

Tutto ciò porta a riflessioni sulla possibilità di creare un nuovo modo di intendere lo spazio collettivo e privato, alla luce di soluzioni alternative che garantiscano un benessere reale, che possa esprimersi attraverso la convivenza rispettosa e armonica dell’uomo con lo spazio circostante, dove il benessere non si esprime unicamente in attitudini di tipo edonistico, ma nel reale e tangibile miglioramento della qualità di vita.

Il senso del nostro esistere sul pianeta si trova nell’indispensabilità dell’empatia, della cooperazione. In un’ottica globale è evidente che il senso etico del nostro vivere quotidiano può essere acquisito unicamente riconoscendosi nel diverso, sia esso il mondo naturale della vegetazione e degli animali, o dell’uomo stesso.

In conclusione, il percorso tracciato nelle pagine di “memorie della polvere” vuole affermare il legame indissolubile che vincola l’uomo all’ambiente circostante, partendo dall’analisi dei processi di creazione della vita, ed evidenziando quanto la perdita del senso ultimo dell’abitare, sia la causa primaria del malessere interiore del pianeta.

 

 

 

 

 

 

 

 

POLVERE

 

Fondali marini. Nell’ombra, la vita.

Ciechi tentacoli a tastoni, coralli, lunghe dita senza mani.

Freddi occhi di fredde membra

corpi lisci che si sfiorano e intrecciano nell’acqua.

Creature marine e poi.. respiro.

Zampe, arti, gambe, sostegni, tendini, ginocchia.

Ali. Vite di luce, di verde, di sete.

Becchi, squame, piume, pelliccia, denti, orecchie… Spogliata pelle.

Tutto si crea, tutto si distrugge.

Un rumore metallico squarcia la vista.

Uomo di sete, di fame e di denaro

Si sentono cigolii, frugare affannato di bracci meccanici,

rosicchiare ansante di ferrose fauci.

Caldo legno, alberi, natura e nuda roccia si scontrano

si scontrano con il violento tocco umano

afflitto dalla disperata ricerca di sfamare la smania.

Morsi. Morsi alla pietra

che rapidamente si sgretola.

strade, ruote, acciaio, scavi.

Profonde buche, carie dei monti.

costruzioni, edilizia, motori.

fumo… polvere… ritmo… produzione.

ci sono dei panni stesi all’aria

Aria di sfruttamento.

Aria di tormento.

Croci di legno piantate nel terreno.

Dopo l’ossessione, l’assillo, il delirio, l’avidità…

riposo.

Buio scavato nella terra.

 

J.T.

 

 

Si dice oggi che

Ascoltando una conchiglia tu possa sentire il suo canto.

Poni l’orecchio e senti

quello che stiamo perdendo.

 

G.M.

 

 

DISGREGARE

 

D è la sonorizzazione prodotta da Alessio Mosti per l’opera “La memoria della polvere” di Maria Ginzburg. Si tratta di un paesaggio sonoro che attraversa una parabola di costruzione e decostruzione del suono. Per quanto ci sia un mantra melodico che si ripete per quasi tutta la durata del brano, si distingue una fase autogenerativa di creazione organica ed una di decostruzione meccanica artificiale. Ciò simboleggia la fase dell’uomo in cui il progresso tecnologico e la scienza lo inebriano tanto da dimenticare principi fondamentali come quelli di interazione e interdipendenza: ci si trova ben presto nella fase discendente della parabola in cui non si può far altro che constatare la desolante disgregazione dell’ambiente circostante; l’ebbrezza di onnipotenza lascia dunque spazio ad un amaro senso di frustrazione.

La sonorizzazione si avvale inoltre di un’istallazione microfonica nella galleria, grazie alla quale il suono dei passi degli spettatori verrà integrato a quello della traccia in riproduzione.

Maria Ginzburg

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